97° Congresso Nazionale Medici Oculisti
4 dicembre 2017
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Arriva il test genetico per la degenerazione maculare senile

Il nuovo esame permette di conoscere il rischio di sviluppare la malattia nei soggetti sani

MILANO – Scoprire per tempo la predisposizione genetica a sviluppare la degenerazione maculare senile e attuare subito strategie preventive è oggi possibile grazie a un nuovo kit di diagnosi genetica che verrà presentato in occasione del prossimo Congresso della Società Oftalmologica Italiana, che si terrà a Milano dal 23 al 26 novembre.

Il TEST – Il nuovo esame, calibrato su circa 12mila persone affette dalla malattia, si basa su un semplice prelievo di DNA, ottenuto strisciando uno spazzolino sulla mucosa della bocca. L’esame, che può essere eseguito presso l’oculista, è in grado di individuare gli eventuali polimorfismi associati alla degenerazione maculare senile con una sensibilità che supera l’80%. «Oggi sappiamo che sono diversi i fattori che possono favorire lo sviluppo della degenerazione maculare senile – spiega Alfredo Pece, primario della Divisione di oculistica dell’Ospedale di Melegnano e presidente della Fondazione Retina3000 di Milano -. Tra questi rientrano, oltre all’età avanzata, fattori ambientali e collegati allo stile di vita (eccessiva esposizione alla luce solare, fumo, abitudini alimentari scorrette), nonché aspetti genetici. Si stima, in particolare, che le cause della malattia dipendano per circa il 70% da fattori genetici di predisposizione». Da qui l’importanza di poter disporre di uno strumento in grado di quantificare il rischio genetico “puro” di sviluppare la malattia dopo i 60 anni in soggetti sani e nei consanguinei di soggetti ammalati. Ma non solo, il nuovo kit può fornire anche altre informazioni preziose come riferisce il professor Stefano Piermarocchi, docente di oftalmologia presso il Policlinico universitario di Padova: «È possibile conoscere il rischio di sviluppare una forma avanzata della malattia in soggetti già ammalati, qual è il rischio di svilupparla nel secondo occhio e, infine, prevedere se il paziente risponderà bene alle cure con i più recenti farmaci anti-angiogenici (anti-VEGF)».

LE RICADUTE – Ma quali sono i benefici che possono derivare dal conoscere in anticipo il proprio destino? «L’individuazione dei soggetti con un rischio genetico elevato ci permette di mettere in atto interventi di prevenzione per ridurre le possibilità di ammalarsi o rallentare l’evoluzione della malattia – riferisce Piermarocchi -. Eliminare il fumo di sigaretta, proteggere gli occhi dalle radiazioni solari, assumere eventualmente specifici integratori antiossidanti sono tutte strategie preventive. Non solo, di fronte a un soggetto a rischio il medico può proporre un più stretto monitoraggio e calibrare meglio le terapie in chi è già malato. Se si sa a priori che i farmaci anti-VEGF hanno poche possibilità di funzionare, si può pensare di ricorrere ad altri strumenti terapeutici comunque validi».

LA MALATTIA La degenerazione maculare senile è la più comune causa di cecità legale sopra i 60 anni. Colpisce tra l’8,5 e l’11% della popolazione di età compresa tra i 65 e i 74 anni, e sopra i 74 anni interessa quasi una persona su tre. Si tratta di una malattia della retina legata all’invecchiamento che inizia con la formazione di depositi, le drusen, e può evolvere in due complicanze: la prima, più lenta e meno rapidamente invalidante, viene chiamata atrofia geografica ed è anche conosciuta come forma “secca”. La seconda più rapida nel compromettere la vista si chiama forma neovascolare o “umida”. Uno dei primi sintomi della malattia è dato dalla distorsione delle linee rette nella zona visiva centrale: se questo inconveniente dura per più di un giorno bisogna sottoporsi con urgenza a una visita oculistica. Tra gli altri disturbi visivi che possono far supporre la presenza di degenerazione maculare ci sono anche diminuzione della vista, immagini offuscate, difficoltà a distinguere i colori, perdita della visione centrale a causa di spazi bui o vuoti. Per confermare i sospetti si ricorre ad alcuni esami diagnostici: l’esame del fondo oculare; l’OCT (tomografia a coerenza ottica), la fluoroangiografia e, in alcuni casi, l’angiografia con verde di indocianina. Molto utile per la valutazione dell’atrofia geografica è la visualizzazione dell’autofluorescenza del fondo oculare.

LE CURE – Per ora non esistono cure definitive, ma solo alcuni trattamenti in grado di evitare ulteriori peggioramenti della vista. Per la forma umida la cura rivelatasi più valida in molti casi è l’iniezione nel vitreo di inibitori del fattore di crescita dell’endotelio vasale (VEGF), molecola chiamata in causa nello sviluppo dei nuovi vasi. Oltre a limitare il danno, un intervento precoce è anche più efficace sulla lesione neovascolare. Attualmente sono in corso alcuni studi per la valutazione di altri farmaci o la loro combinazione. Tuttavia non vanno dimenticati altri trattamenti utili in alcuni casi, quali la terapia fotodinamica e la fotocoagulazione laser. Discorso molto diverso per l’atrofia geografica: per ora non c’è nessuna possibilità di trattamento anche se sono in corso diversi studi clinici per la valutazione di nuove terapie.

Antonella Sparvoli 19 novembre 2011 (modifica il 22 novembre 2011) © RIPRODUZIONE RISERVATA dal Corriere della Sera

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